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martedì 25 settembre 2012

Dell'essere madre: ovvero della nostalgia, della Carrà e del megamix di Grease



E anche oggi faccio outing.
Essere madre è bello, dico davvero.
E' appagante, divertente e a volte anche edificante imparare a osservare il mondo da un'altezza inferiore al metro e venti, che poi è l'altezza giusta per riuscire a vedere quello che ti sta appena appena intorno, e goderne, senza perdere lo sguardo oltre la siepe, nella speranza di raggiungere un infinito che comunque sempre e per definizione ti sfugge. L'altezza ideale anche per non vedere la polvere che si accumula da millenni sopra le mensole.
Dunque, dicevamo, bello, appagante, divertente, edificante.
MA - sempre dietro un idillio si nasconde un MA - vogliamo parlare delle feste?
Quanto mi manca andare alle feste?


Non vado a una festa dall'ultima volta che l'ho organizzata io. E non avevo superato la trentina. Forse all'epoca andava ancora di moda il vodka lemmon e avevo la forza di incelophanare tutti i mobili di casa, per non essere costretta a spiegare ai miei genitori com'era potuto accadere che qualcuno si fosse preso la libertà di vomitare all'interno di un secrétaire del diciannovesimo secolo. Adesso non ce la farei più. E comunque in casa mia un secrétaire non riesce davvero a entrarci, al massimo un contenitore ikea.

Ebbene venerdì scorso è successo che sono andata a una festa. Non a una cena, chiariamoci subito, ma a una vera e propria  festa, di quelle che cominciano all'ora in cui solitamente sto litigando sui turni di utilizzo della boule dell'acqua calda.
Era una festa di compleanno, nulla di troppo mondano o collegato anche solo lontanamente alla fecionuìk che era in pieno svolgimento. MA già la location avrebbe dovuto farmi riflettere. Un appartamento di 500 metri su viale Majno era chiaro che non avrebbe tollerato uno dei miei soliti outfit improvvisati. Quindi era ufficiale, non avevo niente da mettermi, e nemmeno avevo voglia di cercarlo.
Sarebbe andata benissimo anche la maglia a righe su minigonna a palloncino di paillettes blu elettrico e ballerine d'argento. Assomigliavo alla Carrà quando ancora riusciva a ballare, prima che si mettesse a fare il gioco dei fagioli nel barattolo, prima di Pronto Raffaella?, per capirci. Quel trash giocoso e poetico.

L'entrata nella sala. Le luci soffuse che un tempo ti permettevano di limonare seraficamente in un angolo senza dover per forza notare quei particolari che l'indomani, alla luce del giorno, ti avrebbero indotto a non rispondere più alle sue chiamate. Le stesse luci soffuse che adesso servono a nascondere te stessa, il più possibile.
E il diggèi, giovane ma istruito a mettere su dischi che fossero emotivamente destabilizzanti per le persone nate nella decade dei Settanta.
Quando su Dancing Queen degli ABBA si è levata un'ovazione, avrei dovuto capire che qualcosa non andava. Mi trovavo in una sala di nostalgici che portavano sul dorso (me compresa) la data di confezionamento (1974) ma che non si rassegnavano alla data si scadenza, che pure era ben visibile sulla parte bassa della confezione (cosce, culo, polpacci).
No, con me l'operazione nostalgia non avrebbe funzionato, eravamo tutti troppo agée per credere davvero che bastasse cantare e muoversi come vent'anni fa per godere ancora un po' del benefico nettare della post-adolescenza. 
Eppure eppure, quella sensazione di vuoto allo stomaco, di enfatica leggerezza, di bollicine nella testa, quella sensazione che ti fa credere che tutto sia ancora possibile mi aveva aggrovigliato mio malgrado, e ancora non mi abbandonava. Anzi cresceva e si modellava sulla playlist.
Nemmeno quel sottile senso di disagio che accompagna chiunque conosca a memoria l'esatta successione temporale del Megamix di Grease aveva vanificato i miei sforzi di volermi sentire ancora in quel modo, leggera, irresponsabile e vagamente ubriaca, ballare a piedi scalzi calpestando un liquido appiccicoso non meglio identificato rovesciato a terra da qualche maldestro tonymanero de noatri.
E quando il suddetto diggèi, che comunque l'arte del missaggio non la conosceva proprio - io  con le mie compilation registrate dalla radio su musicassetta 90' sapevo fare molto meglio (rec-pause-rec) - ha passato in sequenza Chemical Brothers, Prodigy e Daft Punk ho creduto di essere ancora a quel fantastico festival di musica elettronica all'ombra della Lanterna. Gli anni Novanta spaccavano di brutto.
Non aveva ancora messo sul piatto gli AQUA, gli Ace of Base, i Whigfield, Haddaway o Gala ma ero pronta. Solo allora avrei avuto il diritto di sentirmi definitivamente e irrevocabilmente cretina. Un diritto che dovrebbe essere inserito nella carta delle Nazioni Unite.
Poi la doccia fredda: Ai se eu te pego squarcia pirandellianamente il velo della finzione, rivelando la vera estrazione generazionale del diggèi, e di conseguenza la nostra.
La pista si svuota.
E un pensiero rapido mi deraglia in testa:
cazzo, non ho ancora pagato la mensa scolastica!

5 commenti:

  1. avrei potuto partecipare ad un contest rec-pause-rec
    :-))

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    1. ma potremmo organizzarloooo, in una serata a tema Remember so Ninties

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  2. Dai, dai, la serata a tema, la festa REC-PAUSE-REC! Che tanto senza pause ormai io alla fine del grease mix, (o dei Gipsy KIng!!!!) mica ci arrivo...

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    1. massì massì che ci arrivi. il vero problema è riuscire a non infortunarsi sulle note di Umberto Balsamo.

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