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lunedì 2 aprile 2012

Pecore nere - Capitolo 12



Capitolo 12
<<Cosa ti sei messo? Lo sapevo, dovevo essere più specifico. Questa giacca non metterla mai più.>>
Gustav sospirò sommessamente. Ma perché aveva scelto Milano? Non avrebbe potuto scrivere in italiano svenandosi per un affitto a Notting Hill? <<Non sono in ritardo, vero?>>
<<Be', se fossi arrivato prima, sarei potuto uscire per una sigaretta. Adesso stanno per iniziare. Forza, siediti.>> Lo fece entrare nella fila di posti, quasi volesse rinchiuderlo. Prigioniero di poltroncine retrò in velluto rosso. <<Vedo che hai comprato la rivista. Che ne pensi?>>
<<Ancora niente, non ho avuto il tempo di aprirla. Qualcuno mi ha aggredito prima che potessi sedermi.>>
<<Oh, falla finita. Ecco il tuo amico Barbato che sale sul palco. Sempre più démodé. È da lui che hai imparato che l'immagine non conta?>>
<<Da lui ho imparato a non fidarmi di chi si propone come maestro.>>
Sul palco il movimento si trasformò in un tableau vivant, finché Barbato non iniziò a parlare nel microfono.
<<Buonasera, grazie per essere venuti. Devo ammettere che non vi aspettavamo così numerosi. Siamo qui per presentare un nuovo progetto culturale, che la casa editrice Barbato ha potuto realizzare grazie a un vivaio di giovani intellettuali, che hanno capito quale debba essere il ruolo dello scrittore in una società disorientata dalla massificazione come quella in cui viviamo...>>
Gustav si mosse sulla poltroncina, a disagio. Sapeva come Barbato fosse capace di dire cose all'apparenza inattaccabili, con cui rivestiva idee da reazionario di sinistra. Gustav stesso avrebbe pensato che reazionario di sinistra fosse una contraddizione in termini, prima di conoscere Barbato. Ma aveva provato sulla propria pelle come non ci sia peggior reazionario di chi si dichiara rivoluzionario rimanendo aggrappato a un'idea di società che non esiste più. 
<<... Partiamo dal nome, Fucina. È legato al fatto che noi facciamo cultura spor-can-do-ci le ma-ni. Cosa che i finti intellettuali di oggi, quelli che si vedono in tv o che hanno spazio sui giornali, non hanno la minima intenzione di fare. Ma non si può rimanere in una torre d'avorio...>>
Gustav chiuse gli occhi, rivedendo una delle tante scene pietose in cui Barbato aveva detto di tutto per fargli fare la figura dell'incompetente davanti agli altri allievi. <<Non è un gesto rivoluzionario, pregno di per sé di implicazioni significative, il fatto di usare in una forma nuova, che crei una sorta di rottura con il passato e la tradizione, un contenuto vecchio? Intendo, la letteratura racconta sempre la stessa storia, di amore e guerra, ma posso parlare d'amore e veicolare una critica sociale, o politica. John Donne non ce lo insegna? E come lui, quanti altri?>>
<<Il problema di voi figli di papà è che siete presuntuosi. Tu, Nightingale, non sei John Donne, né Shakespeare e nemmeno Lawrence. Chiaro? Te la devi conquistare la possibilità di iniziare un romanzo con una dissertazione, come Kundera in L'insostenibile leggerezza dell'essere. Per rompere gli schemi, devi prima dimostrare di saperli usare...>>
Ora lì, su quel palco, con la solita montatura d'oro a ingentilirgli ingannevolmente un volto duro dai tratti aspri, Barbato giocava a fare l'ammaliatore di api. <<... Questi ragazzi hanno capito che fare lo scrittore non è una professione, ma una missione. E se non hai il fegato di vivere al confino di una società che è solo apparenza, interesse personale, denaro e superficialità, allora è meglio che ti trovi un altro modo di vivere. Di essere. Perché lo scrittore non è qualcosa che si fa, ma che si è. La grande letteratura è quella che può portarti in carcere per una denuncia scomoda, che può lasciarti emarginato per una verità svelata, di cui gli altri ti credevano complici occultatori. Non puoi definirti scrittore se ritieni che quello che scrivi non sia pericoloso per nessuno. Tanto meno per te...>>
Gustav era pietrificato sulla poltroncina. Quelle parole, le aveva già sentite. E non gli piaceva affatto lo sguardo ipnotico che aveva assunto Barbato. Aveva superato il confine. E se nessuno fosse intervenuto a fermarlo, avrebbe detto qualcosa di sconveniente, per il lancio della sua nuova rivista. Gustav annusava il pericolo nell'aria, ma per qualche motivo non riusciva a gioirne. 
<<... Con questa rivista noi dimostreremo che c'è ancora speranza per la letteratura in Italia. Che gli intellettuali esistono ancora, e il sistema editoriale contemporaneo non riuscirà a imbavagliarli...>>
La voce di Barbato si spezzò all'improvviso, mentre Carlotta si avvicinava al microfono e approfittava di quel momento di silenzio per prendere la parola e passarla immediatamente al direttore della rivista, Mario Pupa. 
Solo quando Pupa iniziò a parlare, Carlotta alzò il tacco a spillo dal collo del piede di Barbato, lasciandogli un segno concavo che non sarebbe svanito per qualche giorno.
<<Gustav, stai bene?>>
<<Sì, sì. Devo solo trovare una scusa per affrontarlo.>>
<<Sei sicuro che sia una buona idea? Sembri fuori di te. Non vorrai crollare proprio davanti a lui?>>
<<Sono tre anni che aspetto questo momento.>> Aprì la rivista e la sfogliò velocemente. <<Guarda, questa è solo demagogica propaganda. Leggi i titoli. Dice sempre le stesse cose e non cambia prospettiva dal 1980. Ed è questo che insegna ai suoi allievi. Ad assumere la SUA prospettiva, e poi a non cambiarla più.>>
<<Lo so, lo so. Hai perfettamente ragione. Ma vedi che stai tremando?>>
<<Questa è rabbia. Bastano pochi respiri per trasformarla in determinazione.>>

Alla fine della conferenza, la massa dei presenti si riversò nel foyer, dove nel frattempo era stato allestito un buffet. Barbato stava infilando i propri appunti in una ventiquattrore sgualcita, quando Gustav gli si avvicinò alle spalle, chiamandolo.
Barbato si girò al rallentatore, probabilmente riconoscendo la voce.
<<Nightingale, che ci fai qui? Non riesci a starmi lontano?>>
<<Tutt'altro. Sono venuto solo per divertimi un po'. Trovo sempre esilarante quello che blateri nei tuoi comizi.>>
<<Sei sempre stato un figlio di papà impertinente. Non hai il cervello per capire l'importanza di quello che dico. >>
<<Già, ami ripetertelo, solo perché non hai il coraggio di pubblicare qualcuno che, come me, sia veramente libero. Comunque sono stato attirato qui dalla curiosità per questa fantomatica rivista, che finalmente, dopo tre lunghi anni, ha preso vita.>>
<<Ci siamo liberati della zavorra che impediva la coesione del gruppo.>>
<<Sì sì, certo. Ora siete sicuri di pensarla tutti allo stesso modo su tutto, per garantire una pluralità di voci che animi un vero dibattito culturale.>>
<<Sei un tipo da talk show.>>
<<Non credo, altrimenti forse qualcuno mi avrebbe già pubblicato. Ah, perché scrivo ancora, sai? Ho persino un agente.>>
<<Scrivi gialli?>>
<<Scrivo racconti.>>
<<Se nessuno ancora ti ha pubblicato, forse non mi sono poi sbagliato tanto quanto ti piace immaginare.>>
<<Sai meglio di me come funzionano le acquisizioni di autori sconosciuti. Devi superare un sacco di pregiudizi e snobismi. Ma non mi do per vinto. Questo volevo dirti, insieme al fatto che sono felice che tu mi abbia espulso dal tuo gruppo di adepti. Sai, c'è sempre il rischio che a lungo andare anche una mente lucida si faccia fare il lavaggio del cervello da un tipo che si vende come maestro di vita.>>
<<Hai finito?>>
<<Sì. E buona fortuna per la tua rivista.>>
Gustav si girò con l'aria regale che lo contraddistingue e si diresse verso l'uscita. Io lo vidi avvicinarsi, perché ero lì a scambiare due chiacchiere con Malatesta, e stavamo proprio parlando della raccolta di racconti che mi aveva consegnato, e che avevo letto il giorno prima.
<<Gustav, vieni. Ti presento Rossella Ogliari, della casa editrice Pecora nera.>>

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