Capitolo 16
Cinque mesi dopo
Martina atterrò all'aeroporto internazionale di Heathrow. Gli scatoloni dei suoi libri la aspettavano già nel suo nuovo studio, presso la London University. Sulla porta scintillava, probabilmente, la targa con il suo nome: Martina Dimille, Ph. D. Elizabethan Studies, English Lit. Dept.
Era nervosa mentre aspettava le due valigie che aveva imbarcato, e che contenevano il resto della sua vita. Conosceva la propria materia, sapeva insegnare e aveva iniziato una nuova ricerca, per la quale Londra sarebbe stata un ricco archivio, ma non era certa di cosa si aspettasse da lei l'università. Qui le cose non erano come in Italia. Si fa presto a dire Europa, ma poi, nella pratica delle cose, due mondi diversi rimangono diversi. Lei era determinata a imparare il cosmopolitismo. E aveva anche un'idea circa un laboratorio teatrale, per mettere in scena quello che avrebbe fatto studiare, dalle play al pubblico. Ma il suo corso non sarebbe iniziato ancora per un po'. Avrebbe avuto tutto il tempo, per un paio di mesi, di dedicarsi alla ricerca.
Si soffermò a guardare la propria immagine distortamente riflessa dalla superficie lucida di una parete. I corti capelli neri con le punte verdi la facevano sembrare una punk fuori del tempo. Ma già essere lì, a pochi minuti di metropolitana dal centro di Londra, la faceva sentire diversa, più viva. Non poteva negare di avere paura. Temeva di non farcela, non tanto al lavoro, quanto nella vita di tutti i giorni. Che casino avrebbe fatto con le bollette e l'affitto? Per non parlare delle tasse. C'erano ancora parecchie cose che doveva sapere di come si vive in Inghilterra, ma non ci voleva pensare, finché non fosse stato il momento.
Non mi aspettavo che Gustav arrivasse a casa mia quella sera. Ero il suo editore ed ero diventata anche la sua confidente, perché un piccolo editore instaura un rapporto profondo con i propri autori. Ma quella sera non mi aspettavo Gustav.
Era la prima volta che veniva a trovarmi a casa, e devo ammettere che ero un po' impacciata, come spesso mi succede quando vedo persone fuori del loro contesto consueto. Ma poi mi abituo. Quella sera invece c'era qualcosa che mi impediva di rilassarmi.
E non mi capita mai di essere tesa se parlo di libri, o di viaggi, o di poesia.
Dopo aver sorseggiato il suo tè, Gustav si guardò intorno. <<Bella casa. Abiti da sola?>>
<<Già. Si sta bene.>>
<<Scusa se ti sono capitato qui senza preavviso. Non mi sono fermato a considerare che potevi essere impegnata, avere compagnia...>>
<<Mmh, intendi compagnia maschile? Oh, no. Ho un vero talento per spaventarli, gli uomini. Peccato non esista un premio per questo.>>
Gustav sorrise divertito. Poi mi guardò fisso, paralizzandomi con la profondità dei suoi occhi. Mi si avvicinò lentamente. Io sapevo cosa stava per fare. Non volevo che lo facesse, avrebbe complicato decisamente ogni cosa. Ma non riuscivo a muovermi o a protestare.
Non feci niente per fermarlo, così mi baciò. Fu un bellissimo bacio. E mentre me ne stavo lì a farmi accarezzare dalla sua bocca, mi resi conto che era esattamente ciò che volevo. Che lui mi baciasse, intendo. Nel mio inconscio lo avevo probabilmente sognato, senza conservarne il ricordo, e ora era diventato reale, concreto. A volte non sappiamo ciò che desideriamo finché non ce lo troviamo davanti.
Una donna speciale.
In un giorno qualunque.
Tutto sarà speciale.
Questo fu il biglietto che Gustav mio lasciò sul comodino, prima di uscire il mattino seguente, mentre io ancora mi stavo truccando in bagno. <<Ross, scappo perché devo vedere Guido a colazione.>> Ma non era vero. Voleva solo che fossi sola, quando avessi letto l'haiku che aveva composto per me.
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