Oggi intervistiamo un'autrice esordiente (ha esordito qualche mese fa, a dire il vero), che tutti conoscete come Zelda was a writer. She is a writer, in effetti. Il suo romanzo l'ho letto e l'ho amato dal primo istante. Ora lascio la parola a lei, che sa essere poetica anche rispondendo alle mie stupide domande.
- Farfalle in un lazzaretto è il tuo romanzo di
esordio. Quanto è rimasto nel cassetto prima che trovassi il coraggio
di farlo leggere?
Buongiorno Cristina e
Benedetta! Innanzitutto, grazie per la pazienza con cui avete atteso queste
risposte!
Marco Robustelli e Agata Lorenzi
continuavano ad abitarmi i pensieri: erano giovani e imperfetti, baciati dalla
fortuna e con un futuro promettente, eppure, ognuno a suo modo, alla continua
ricerca di qualcosa di non chiaro.
Me li portavo sulle spalle,
Marco e Agata, e camminavo senza posa, confondendomi tra i turisti, scappando
nei carruggi silenziosi, ascoltando i discorsi del sole. Sempre, in ogni
momento, continuavo a domandarmi che cosa capitasse alla loro vita, perché si
ostinassero a non essere felici, che cosa li trattenesse. Questa cosa, in
effetti, mi mandava su tutte le furie!
Un pomeriggio mi sono messa al computer e non l'ho più lasciato. Scrivevo sotto gli alberi spelacchiati di un giardino silenzioso e nascosto. Ricordo che, mentre gli altri tornavano a casa con la sabbia nei piedi, io avevo sempre i capelli pieni di foglie e insetti.
Da lì a farlo leggere a
qualcuno - se si esclude la mia socia Clelia - sono passati circa tre anni. Il
lavoro, mille incertezze e un eccessivo sentimento di protezione verso le mie
parole mi hanno spinto a prolungare questa attesa per molto, moltissimo tempo.
Non credo di avere perso tempo: ritengo che ci sia sempre un momento giusto per
tutto.
- Hai avuto contatti con diversi editori, che si sono
dichiarati più o meno interessati al tuo lavoro. Come è arrivata la scelta del
self-publishing?
La scelta del self-publishing
è nata dopo un anno circa di attese e contatti. Ho pensato che il mio unico
desiderio - forte e vitale - fosse scrivere e procedere, non fermandomi mai e
tentando di fare sempre meglio.
Avevo bisogno di fissare un
punto d'inizio, qualcosa che mi rendesse fiera e che, a posteriori, mi
permettesse di comprendere l'entità dei passi fatti e di quelli ancora da
compiere.
Sono soddisfatta della
scelta compiuta, anche se la sua gestione non è stata facile, ma vengo da una
famiglia che ritiene che fare sia sempre stato il regalo, molto prima di
qualsiasi risultato.
-
Ora che hai liberato i tuoi personaggi ti senti un po'
più sola o un po' più viva?
Chiuso il progetto, mi è
presa una malinconia indicibile.
Mi mancava disperatamente
Cesare Crotti: scrivere di lui è stata un'esperienza meravigliosa!
Ricordo ancora la sua
conversazione con Agata, uno dei miei momenti preferiti sul finale del libro.
Ricordo tutto, come l'avessi vissuto in prima persona: il buio che sopraggiunge
e la nebbia che si alza, Cesare e Agata uno di fianco all'altra, che si perdono
nella silenziosa perlustrazione di un punto non ben identificato
dell'orizzonte. Ricordo l'abbaiare di un cane lontano e lo sguardo sospeso di
questo sedicenne dalle scarpe da tennis sempre troppo grandi.
Lasciarlo non è stato
facile, ma poi con il tempo mi è sembrato di avergli dato una vita e, lo
confesso, continuo a provare per lui un buffo sentimento da genitore
orgoglioso. Spesso me lo immagino protagonista di un'altra storia o il famoso
scrittore di un libro indimenticabile.
- La scrittura è (anche) una forma di crescita personale.
In che modo scrivere un romanzo ti ha cambiata?
Sono sempre stata una
bambina ipertrofica, nel dire e nell'agire. Iniziavo discorsi senza capo né
coda, pensavo di vivere in mondi paralleli e ogni santo giorno ipotizzavo un
futuro di imprese al limite dell'eroico. Avrei salvato il mondo, sarei stata
una ballerina, avrei giurato amore eterno a un poeta maledetto.
La scrittura – e molto
prima la lettura - ha ordinato questa immensa fantasia: non l'ha mai azzerata,
l'ha resa “utile”, stimolante, creativa.
Scrivere ha rimesso a posto
i pensieri e mi ha fatto scoprire l'affascinante gesto della sottrazione, il
difficilissimo cammino verso la semplicità. Essere semplice è, al momento, la
mia ambizione più grande.
Permettetemi una veloce premessa.
La mia maestra di disegno
delle medie mi consigliava sempre di guardare le opere d'arte strizzando
leggermente gli occhi. Diceva che si potevano cogliere sfumature, impasti di
colore e dettagli che altrimenti sarebbero sfuggiti per sempre.
Ho disegnato spesso in
questo modo, con buona pace della mia miopia. Mi sembrava che fosse un modo
magico per guardare alle cose, per farmi arrivare all'essenza del messaggio.
Alcune volte mi sembra che
anche i libri siano da guardare con gli occhi strizzati. Spesso, leggendo o
scrivendo alcuni periodi, mi accorgo di quanto la scrittura richieda un animo
disposto alla composizione materica e cromatica. I concetti si possono
esprimere in moltissimi modi, ma ce ne sarà sempre uno, da occhi strizzati,
capace di rendere la pagina un meccanismo dall'incastro perfetto.
La mia maestra faceva
Crotti di cognome... non è strana la vita?
-
Hai in serbo una nuova storia per noi?
Sì, in realtà ho in mente
due storie.
Due storie di amore e
presenza, molto diverse tra loro. Ultimamente, mi sto interrogando molto sul
senso dei rapporti e di quanto molto spesso si limiti l'amore a una relazione
tra uomo e donna, perdendosi tristemente tutta l'infinita gamma di sfumature
(anche qui, da occhi strizzati!) che lo caratterizzano.
Sto anche lavorando a una
storia seriale, la mia più grande sfida del momento. Il tempo delle storie
raccontate mi affascina, infatti, a livelli difficilmente quantificabili!
-
Nomina uno dei tuoi romanzi preferiti di
sempre.
Questa domanda mi mette in
difficoltà, ma, conoscendomi, credo si tratti di semplice ansia da prestazione!
Per uscire dall'impasse,
citerò il primo libro che mi ha fatto pensare che non avrei mai più vissuto
un'esistenza felice senza libri, si tratta de La Ragazza di Bube di
Carlo Cassola. Ero alle medie e mi venne data una lista di libri da leggere
per le vacanze. Ne scelsi uno e fui fortunata.
La Ragazza di Bube fu una rivelazione: i
libri non erano affatto noiosi! Potevano parlare anche di me. Potevano
descrivere la semplicità e l'amore, il male ai piedi e arrivare persino a
canticchiare una canzone romantica.
Da quando ho letto libri
appassionanti, mi è presa un'insana voglia di scriverne di miei, tentando di
stimolare negli altri la stessa passione che ho sempre provato io.
-
Se ti dovessero paragonare a un grande autore del
passato, a chi vorresti essere paragonata? (Spara pure alto senza timidezza. In
fondo, anche i sogni sono letteratura)
Sparo altissimo, sarete
fiere di me: vorrei essere paragonata alla me del prossimo sfavillante futuro
che ho sognato sin da bambina. Sempre stata ottimista, io.
Fotografie: ©zeldawasawriter.com
Non avete ancora letto il libro? Lo trovate qui!
Camilla, invece, la trovate sul suo blog.
Io ho amato molto Farfalle in un lazzaretto e aspetto con ansia le prossime storie
RispondiEliminaAnche io non vedo l'ora di conoscere nuovi personaggi (o ritrovare quelli "vecchi") nel tuo nuovo libro :)
RispondiEliminaio ammiro tantissimo Camilla e le auguro davvero lo sfavillante futuro che sogna e....forza che qui si aspetta il secondo libro! :)
RispondiEliminaGli editori dai lunghi contatti li conosco bene, sono come la peste: da evitare, non è possibile che trascinino le cose tanto a lungo. Ottima quindi la scelta del self publishing.
RispondiEliminaCamilla/Zelda ti so molto amata, e ti auguro che il tuo futuro sia sempre all'altezza dei tuoi sogni. sandra
http://ilibridisandra.wordpress.com
Confido nell'ispirazione di Camilla e nelle suggestioni di un'estate ritardataria. Penso che non dovremo attendere poi molto
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