Mahalia Jackson - May 17, 1957, Prayer Pilgrimage for Freedom in Washington, D.C. |
Questo è un post natalizio, anche se dalle foto non si direbbe.
Perciò lo dichiaro all'inizio, per non creare malintesi.
Per me il Natale è negli occhi, nelle luci che accendono l'aria, nei colori intermittenti che si riflettono in sfere che hanno un sapore quasi divinatorio, mentre me ne sto seduta al buio a pensare che sì, quello che deve ancora venire sarà l'anno migliore di tutti. Perché accontentarsi è un po' come morire.
Il Natale lo sento nel palato, e lo dichiaro subito, sono una fan del pandolce genovese, quello basso con l'uvetta, e delle bollicine, ma solo quando si festeggia.
Per me il Natale è nelle orecchie, nelle canzoni che accompagnavano le mani di mio padre e mia madre nella composizione di un albero solitamente imponente, lo stesso albero che una notte decise di suicidarsi, schiantandosi al suolo soverchiato dalle aspettative di chi gli rivolgeva occhiate fiduciose, e sì, forse avevo esagerato con gli addobbi.
Senza quelle canzoni il Natale si svuota per me di ogni significato. E dire che non erano tutti capolavori quelli che si ascoltavano a casa, anzi ricordo che i brani che apprezzavo di più allora, commuovendomi fino alle lacrime, erano quelli del Piccolo Coro dell'Antoniano.
Ma c'era una donna che con la sua voce arricchiva quei momenti di una magia intensa, palpabile, un'artista che cantava col cuore, con la pancia, con gli occhi, con la fronte, con qualsiasi parte del corpo venisse attraversata e sublimata dalla Musica.
Il suo nome era Mahalia jackson.
Mahalia Jackson era la cantante preferita di mio padre.
Nata nel 1911 in un sobborgo di New Orleans, si trasferisce a Chicago nei primi anni Venti, dove per sopravvivere fa la cameriera, la lavandaia, l'estetista. E soprattutto fa ciò che le riesce più naturale: cantare. Viene ingaggiata a dieci centesimi per cantare ai funerali, canta nei cori gospel che si esibiscono nelle numerose chiese battiste dell'Iillinois. Dopo cinque anni di tournée, nel 1937 viene notata e messa sotto contratto dalla Decca, contratto che però viene annullato al rifiuto dell'artista di realizzare un disco blues. La musica di Mahalia è il gospel. Solo il gospel è in grado di far vibrare le sue corde, il suo corpo, la sua anima.
Dieci anni dopo incide per l'etichetta Apollo Move up a little higher e vende 8 milioni di copie. Da quel momento la voce di Mahalia arriva dappertutto: in televisione, in radio, al cinema, nel 1960 arriva perfino al presidente Eisenhower, e nel 1963 alla marcia di Washington per i diiritti civili. Mahalia canta We shall overcome poco prima del discorso di Martin Luther King. I have a dream, ed è leggenda.
Nonostante tutto non si monta la testa e accanto al suo Beauty Shop apre un negozio di fiori, attività che porterà avanti per tutta la vita.
E' generosa Mahalia, umanamente e artisticamente; è lei a incoraggiare una giovane Aretha Franklin a coltivare il suo amore per la musica, quello stesso amore che incendia ogni sua apparizione live.
Nat “King” Cole e Mahalia Jackson sul set del film “St. Louis Blues”, Hollywood, California, 28 ottobre 1957 (AP Photo) |
Devo ammettere che non conosco a fondo il percorso musicale di Mahalia Jackson. Ma le interpretazioni che ci ha regalato dei grandi classici di Natale, quelle sì.
In ognuna di quelle note riconosco un ricordo, rivedo gli occhi socchiusi di mio padre mentre stona ogni vocalizzo con precisione maniacale, come un cecchino.
E, ogni volta che le riascolto, quelle note sono ancora così, stonate nella loro incorruttibile perfezione. Perché anche l'armonia più melodiosa viene stonata dalla vita che ci passa attraverso.
silent night
Tell it to the mountain
COndivido, condivido,condivido!!!! Io la adoro e grazie per il link di 'silent night'!!!!
RispondiEliminaGrazie Anna. Per me non è Natale senza Mahalia e la mia canzone natalizia in assoluto è Tell it to the mountain.
EliminaBentornata a proposito. Ci sei mancata.
Ma ero sempre qui eh.....!!! ma poco 'commentante' ...
RispondiEliminaBacioni!!!