Starò a Genova per una settimana e da qui vi aggiornerò su quello che scopro e imparo a (ri)conoscere. Perché Genova è una sorpresa continua, per tutti, anche per chi è abituato a conoscerla.
La prima puntata di questo viaggio ci porta alla mostra di Joan Miró ospitata a Palazzo Ducale fino al 7 aprile.
Joan Miró aveva Maiorca nel sangue prima che nel destino. Terra di origine della madre, Miró impara a conscere l'isola nelle lunghe estati che trascorre a casa della nonna. Nel 1929 sposa una maiorchina, Pilar Juncosa e negli anni della guerra tra il 1940 e il 1942 è proprio quella terra a dare loro ospitalità.
Non è strano dunque che Maiorca diventi il suo luogo di elezione, quello dove riesce a mettere radici nel 1956, il suo rifugio fino alla morte.
Qui realizza il proprio sogno di avere un grande studio, pensato e realizzato dall'amico architetto Josep Lluis Sert e realizzato seguendo le sue nuove esigenze di avere ampi spazi indivisi dove poter ripensare alla propria arte e rivedere l'atto creativo come fluido divenire di energia vitale e azione.
Le tele diventano enormi e non sono più posate su un cavalletto ma appoggiate per terra. Miró ci cammina, ci si sdraia a pancia in giù, spruzza, macchia, lascia scivolare tracce di colore. La sua arte abbandona qualsiasi tipo di figurazione ed è pronta a emozionare, anche grazie all'esempio dell'action panting americana di Jackson Pollock e all'influenza dell'astrattismo e della semplice linearità della calligrafia giapponese.
Una mostra che ci ha rapite e ci ha trasportate in un mondo di luce e colore: "Maiorca è la poesia, è il colore". Anche grazie alle audiocuffie pensate su misura per i bambini che, grazie a un linguaggio semplice e accattivante, sanno trasportare i più piccoli nei meandri magici dell'arte.
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