Pubblicità sessista anni Cinquanta |
A me non piace ammetterlo, perché sono una patita di comunicazione e di conseguenza sono tra quelli che non usano il telecomando durante i consigli per gli acquisti, però di pubblicità belle ce ne sono ben poche e mi irrita constatare come la creatività lasci sempre più spesso il passo alla banalità. La rima è casuale e non indica affatto similarità tra i due concetti, che vivono invece agli antipodi.
Quello che constato, a livello di comunicazione in generale, è che si mira sempre di più alla pancia degli spettatori, senza alcuna considerazione per il loro cervello. Scopo della comunicazione sembra essere unicamente vendere, a qualunque costo. Ma io dico, e non sono la sola, che comunicare contiene anche una responsabilità sociale.
Prendiamo le pubblicità delle auto, qualche tempo fa ce 'era una - non ricordo nemmeno più quale fosse la macchina in questione - che faceva vedere come, con un SUV super figo come quello, il problema del parcheggio non sussistesse più, perché potevi parcheggiare su un tetto (o forse era su un marciapiede, sopra un senzatetto?). Questa è comunicazione irresponsabile. Così come lo è quella che rappresenta la donna secondo gli stereotipi della libido maschile. La donna nella pubblicità è spesso oggetto del desiderio, a volte non c'entra per nulla con la merce pubblicizzata, è lì solo per attirare l'occhio.
Per questo vi segnalo un'iniziativa Premio immagini amiche, che premierà quelle pubblicità - spot, a stampa, catellonistica, Internet ecc - che usano la creatività per andare oltre lo stereotipo. Noi possiamo segnalare sul sito quello che ci colpisce positivamente.
Per le segnalazioni c'è tempo fino al 31 gennaio, e dal 1 febbraio si potranno poi votare.
L'iniziativa prende le mosse da una risoluzione del Parlamento Europeo del 3 settembre 2008 riguardo all'impatto di marketing e pubblicità sulla condizione di parità tra uomo e donna.
E lo stesso si potrebbe dire sui giochi per le bambine, ma apriremmo un altro capitolo (che comunque mi piacerebbe aprire)
Non facciamoci dire chi siamo. Il mondo che vorremmo è un altro.
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