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lunedì 14 maggio 2012

Pecore nere - Capitolo 18



Capitolo 18
Non sapevo quanto mi piacesse l'arancione, finché non lo indossai. Lo stesso vale per l'impulsività. Non sono mai stata una tipa da prendere decisioni importanti alla leggera, non credevo facesse per me, finché Gustav non divenne il mio amante. Sì, amante. Ritengo che parole come fidanzato, o compagno, o partner non descrivano la situazione appieno. Amante è una parola totale, invece. Amante, perché lui amava me, e io lui. Amavamo le stesse cose, e amavamo sia farle insieme sia da soli. Eravamo uno, ma al tempo stesso eravamo due.
Fu quindi la prima volta che partii per un viaggio, seppur breve, da un giorno all'altro. 
Londra è splendida in primavera. Gli alberi sono fioriti, l'aria è tersa, lavata dalla sporadica pioggia e pettinata dal vento delicato. Sembra che ci sia più luce, e forse è proprio così, essendo più a nord. Ma Martina mi assicura che anche d'inverno, nonostante le giornate siano più corte, continuano a rimanere più intense.
Inquadro lei e Gustav nello spazio angusto del mio obiettivo. Sono così belli insieme! Mi domando se ci sia mai stato niente tra loro, ma scaccio quel pensiero nel tempo di un clic. L'unico passato che mi riguarda è il mio. 
Davanti a un tè fumante e a una crumble all'albicocca, mentre Gustav si è allontanato per lavarsi le mani, Martina diventa d'un tratto cupa. <<È un vero peccato che il suo romanzo non trovi un editore.>>
Sorrido incerta. <<Non guardarmi con quegli occhioni, Martina, sai che io pubblico solo poesia e prosa breve. Molto breve.>>
<<Sì lo so. Ma non puoi fare proprio niente?>>
<<Malatesta e io abbiamo contattato tutte le nostre conoscenze. Nessuno è interessato. Sono persone abituate a far quadrare i conti, a lavorare per un risultato. Non fanno beneficenza, non si prodigano per una Causa. Il romanzo è un ottimo lavoro? Può darsi, ma non ne sono convinti. Troppo corto. Che qualcun altro si prenda la briga. Se poi sarà un successo, non ci mettono niente a offrire all'autore il doppio della miseria che il piccolo editore è riuscito a fatica ad anticipargli, così che il romanzo successivo esca targato con un grande nome. Parlo per esperienza personale.>>
<<Credi che sia perché gli italiani non leggono?>>
<<No, credo che sia perché l'italiano lo leggono solo quei pochi italiani che leggono. Sì, insomma, il popolo di lettori è minuscolo rispetto alla lingua inglese. È per quello che qui è più facile trovare qualcuno che sia disposto a credere in te.>>
Gustav si sedette al tavolo, di ritorno dal bagno. <<Ehi, che espressioni serie. Siamo in vacanza, avanti!>>
<<Parla per te. Io domani ho lezione, e questa notte dovrò stare in piedi finché il capitolo sull'essere o il non essere non sarà concluso. Ma ci sono quasi.>>
<<Stavate parlando del mio romanzo? Vi avevo chiesto di non nominarlo per questa settimana.>>
<<Be', non hai specificato che la regola avrebbe avuto valore anche in tua assenza>> cavillai, colpevole.
Gustav si girò verso Martina. <<Uno dei motivi per cui trovo questa donna irresistibile è la sua capacità di rivoltare le mie frittate senza che io nemmeno me ne accorga.>>
<<Be', lei è una donna, tu sei un uomo. Non farmi dire le solite banalità.>>
Quella sera Martina ci portò in un ristorante finto rustico, Meggie Jones, dove gustai il corn on the cob più gustoso della mia vita. 
Il cameriere era decisamente gay e guardava Martina e me solo per carpire le ordinazioni. Il resto del tempo i suoi occhi erano per Gustav, che, dietro quel sorriso immobile, stava evidentemente rimuginando sul proprio fallimento come romanziere e non aveva degnato la mia scollatura, o il sublime trucco dei miei occhi, nemmeno di uno sguardo distratto. In compenso, la coppia deliziosa - lui alto biondo e atletico, lei alta bionda bella femminile decisamente una modella - al tavolo accanto al nostro non la smetteva di flirtare e scambiarsi smancerie. 
Martina e io iniziammo a guardarci intorno in cerca di attenzioni, poi ci rinunciammo, optando invece per il conto e una passeggiata verso casa. 

<<Martina ha un'idea interessante per il tuo romanzo>> gli buttai lì, infilandomi nel letto.
<<Non ne voglio parlare.>>
<<È da stupidi. È un'idea che può funzionare.>>
Gustav non rispose, così io mi sentii autorizzata a proseguire. 
<<Dice che potresti occuparti della traduzione del tuo stesso romanzo. Un po’ come Beckett con Aspettando Godot. Lei, con i contatti in università, potrebbe trovarti un editore qui. Poi, se avrà un discreto successo - e io non ne dubito, professionalmente parlando - lo vorranno pubblicare anche in Italia. È una strada che vale la pena di tentare. Che ne pensi?>>
Si voltò verso di me con espressione delusa. <<Non ne voglio pensare niente.>> Spense la luce e si addormentò dandomi le spalle.

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