Uno di questi ricordi è però indissolubilmente legato a mio padre, gentiluomo contadino, che durante i lunghi mesi estivi mi portava nel suo orto per insegnarmi a distinguere gli uni dagli altri frutti e ortaggi. Purtroppo, per lui e per me, senza molto successo. Ma quando arrivava il mese di settembre sapevo che era giunto il momento di accantonare le scarpe, sfilare i calzini e cominciare a schiacciare.
Era arrivata la vendemmia.
Di quei momenti ricordo il gusto dolce del succo degli acini d'uva che mio nonno mi spremeva in bocca uno ad uno, come un autentico sommelier. Il sapore amaro dei semi masticati e poi sputati. Il colore dei fazzoletti delle contadine. La sensazione dell'uva sotto ai piedi, fresca e appiccicosa. I girotondi mani nelle mani all'interno delle tinozze, mentre i contadini intonavano canzoni della tradizione ligure di cui francamente non capivo una parola. E poi la magia di vedere il frutto delle mie fatiche, il mosto, un nettare scuro e dolcissimo che, dopo un'adeguata fermentazione e molti anni più tardi, sarebbe diventato il compagno fedele di tante serate.
Domenica ho rivissuto la stessa atmosfera. La differenza sostanziale però è che in questo caso tutto doveva essere spiegato, anche le cose più banali.
la spiegazione |
Un giorno di laboratori sulla vendemmia, che mi lascia in bocca il sapore amaro di una realtà che non esiste più, e che invece fino a non molto tempo fa mi apparteneva.
Adesso toglietemi una curiosità: è il mondo ad andare troppo veloce o sono invecchiata così tanto?
In fondo io vado ancora ai concerti, e che diamine!
l'attesa |
la pigiatura |
facciamo il vino? e gli adulti in coro: sììììììì |
a piccoli passi |
non c'entra nulla con la vendemmia, ma mi piaceva davvero tanto |
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