solitudini condivise |
Oggi ho tanti motivi per scrivere. In realtà avrei voluto parlarvi di Patti Smith e del suo rapporto carne e sangue con Robert Mapplethorpe, del Chelsea Hotel, del Max e di Andy Warhol. Ma gli strascichi beatnik di un decennio prezioso e folle possono aspettare.
Oggi vi parlerò della lontananza.La lontananza è subdola e crudele, si accanisce sui ricordi più deboli e indebolisce quelli più forti. Chi non ha il coraggio di affrontarla a muso duro ne rimane schiacciato.
Ho scelto di vivere una vita lontana da quella che mi era familiare. Certo, se parliamo di chilometri in realtà la distanza è minima, ma non sono i chilometri a fare la differenza. È la mancanza di condivisione, di abitudini, di occhi negli occhi, di mani nelle mani che fa in modo che la lontananza diventi normale. Ma questa normalità, a dispetto del titolo rassicurante, è insidiosa perché induce al distacco emotivo, alla quotidianità che pian piano diventa ricordo.
Ho lasciato persone che sono state viscerali per me, carne e sangue appunto, a tal punto presenti da non sapere più dove finivo io e cominciavano loro. Ma ho creduto che i nostri ricordi bastassero da soli a salvarci. Che il solo fatto di condividere notti strampalate, vicoli malfamati che ci facevano sentire a casa, caffè e focaccia, mercatini di Natale, sapori e odori di consapevolezze nuove, di svolte improvvise ci avrebbe reso immuni dallo scorrere del tempo. Ma non è così. Mi accorgo che i gesti sfumano, gli aneddoti si confondono, le voci risuonano e rimbombano, come se andassero a sbattere contro le pareti di una stanza vuota.
Ho paura di aver perso la capacità di trattenere il ricordo e con esso anche l'amore.
Poi leggo questo:
Vorrei averti con me tutti i giorni, ascoltare i tuoi racconti dal vivo, ballare la stessa musica, partecipare al miracolo delle nostre figlie che crescono, sorridere delle cose buffe e sostenerci nelle difficoltà quotidiane. Ecco solo alcuni esempi di quanto mi manchi.E penso che forse l'abitudine rimane, se non quella fisica di sicuro quella emotiva, che non sempre il ricordo anticipa l'oblio, e che casa è dovunque ci sia qualcuno ad aspettarti.
Oddio, Benedetta, sai che qui non posso piangere!
RispondiEliminaperché, tu fai finta di piangere per l'intensità del testo che stai revisionando...
RispondiEliminaTranquille, per togliervi dall'impasse a far scendere la lacrima ci ho già pensato io ;)
RispondiEliminaVorrei aggiungere che ci si può sentire a casa anche solo riconoscendosi nei contenuti di un blog. Continuate così!
tutte queste lacrime mi fanno pensare a quanto il mio stile sia melodrammatico, un po' stile signora delle camelie... giò, su questo blog troverai sempre una copertina, una zuppa calda e un libro sul comodino ad aspettarti, quando vorrai passare...
RispondiEliminaPosso passare anch'io? Faccio il paio con Giovanna, li' sopra :-)
RispondiEliminapassa quando vuoi il libro è già lì, per la zuppa ci stiamo lavorando
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