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lunedì 17 ottobre 2011

Io e te siamo carne e sangue

solitudini condivise

Oggi ho tanti motivi per scrivere. In realtà avrei voluto parlarvi di Patti Smith e del suo rapporto carne e sangue con Robert Mapplethorpe, del Chelsea Hotel, del Max e di Andy Warhol. Ma gli strascichi beatnik di un decennio prezioso e folle possono aspettare.
Oggi vi parlerò della lontananza.
La lontananza è subdola e crudele, si accanisce sui ricordi più deboli e indebolisce quelli più forti. Chi non ha il coraggio di affrontarla a muso duro ne rimane schiacciato.

Ho scelto di vivere una vita lontana da quella che mi era familiare. Certo, se parliamo di chilometri in realtà la distanza è minima, ma non sono i chilometri a fare la differenza. È la mancanza di condivisione, di abitudini, di occhi negli occhi, di mani nelle mani che fa in modo che la lontananza diventi normale. Ma questa normalità, a dispetto del titolo rassicurante, è insidiosa perché induce al distacco emotivo, alla quotidianità che pian piano diventa ricordo.
Ho lasciato persone che sono state viscerali per me, carne e sangue appunto, a tal punto presenti da non sapere più dove finivo io e cominciavano loro. Ma ho creduto che i nostri ricordi bastassero da soli a salvarci. Che il solo fatto di condividere notti strampalate, vicoli malfamati che ci facevano sentire a casa, caffè e focaccia, mercatini di Natale, sapori e odori di consapevolezze nuove, di svolte improvvise ci avrebbe reso immuni dallo scorrere del tempo. Ma non è così. Mi accorgo che i gesti sfumano, gli aneddoti si confondono, le voci risuonano e rimbombano, come se andassero a sbattere contro le pareti di una stanza vuota.
Ho paura di aver perso la capacità di trattenere il ricordo e con esso anche l'amore.
Poi leggo questo:
Vorrei averti con me tutti i giorni, ascoltare i tuoi racconti dal vivo, ballare la stessa musica, partecipare al miracolo delle nostre figlie che crescono, sorridere delle cose buffe e sostenerci nelle difficoltà quotidiane. Ecco solo alcuni esempi di quanto mi manchi.
E penso che forse l'abitudine rimane, se non quella fisica di sicuro quella emotiva, che non sempre il ricordo anticipa l'oblio, e che casa è dovunque ci sia qualcuno ad aspettarti.

6 commenti:

  1. Oddio, Benedetta, sai che qui non posso piangere!

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  2. perché, tu fai finta di piangere per l'intensità del testo che stai revisionando...

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  3. Tranquille, per togliervi dall'impasse a far scendere la lacrima ci ho già pensato io ;)
    Vorrei aggiungere che ci si può sentire a casa anche solo riconoscendosi nei contenuti di un blog. Continuate così!

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  4. tutte queste lacrime mi fanno pensare a quanto il mio stile sia melodrammatico, un po' stile signora delle camelie... giò, su questo blog troverai sempre una copertina, una zuppa calda e un libro sul comodino ad aspettarti, quando vorrai passare...

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  5. Posso passare anch'io? Faccio il paio con Giovanna, li' sopra :-)

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  6. passa quando vuoi il libro è già lì, per la zuppa ci stiamo lavorando

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