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martedì 27 marzo 2012

Pecore nere - Capitolo 11



Capitolo 11
I primi addetti stampa iniziavano a riempire il foyer del Teatro Litta, dove si sarebbe tenuta la presentazione della nuova rivista letteraria Fucina
Sotto il palco l'esiguo gruppo di allievi, insieme ai loro maestri, stava ripassando i passaggi fondamentali del discorso.
Barbato aveva gli occhi spalancati e aveva iniziato a insultare tutti circa un quarto d'ora prima, quando aveva visto entrare un paio di giornalisti che era convinto lo odiassero. <<Dovevamo fare selezione all'ingresso, ecco cosa.>>
<<Tu non sei certo la persona giusta per occuparti delle pubbliche relazioni. Non immischiarti>> lo ammonì Carlotta.
Barbato brontolò qualcosa di incomprensibile, mentre gli allievi si scambiavano sguardi preoccupati. Non era certo rassicurante per loro vederlo di quell'umore a pochi minuti dall'inizio della conferenza. 
<<Forza, forza, non state lì come stoccafissi, salite sul palco e prendete posto. Le ricordate le posizioni?>>
Pronti, ai posti...

Gustav aveva lavorato tutto il giorno senza staccare gli occhi dallo schermo. Alle 17.00 la sveglia lo fece sussultare, ricordandogli che era ora di prepararsi. Non si sarebbe perso la conferenza stampa per niente al mondo, anche se aveva evitato di pensarci per tutto il giorno, buttandosi a capofitto nella traduzione. Ora il suo ego era mortificato dal fatto di non potersi aggrappare all'idea di un romanzo, pubblicato o in fase di pubblicazione, da piantare sotto il naso di Barbato. Ma in fondo sapeva che il solo fatto di non aver rinunciato a crederci era contrario a quanto Barbato aveva auspicato allontanandolo dal gruppo. E cioè un abbandono totale. 
Adesso Gustav era in mutande davanti all'armadio. Cosa aveva detto Guido a proposito dell'abito adatto? No, non credeva ci fossero delle regole da seguire per una conferenza stampa. Buttò sul letto un paio di pantaloni di velluto, una T-shirt con le maniche lunghe che aveva dimenticato di stirare e una giacca nera di panno che aveva acquistato a Camden. 
Pioveva, fuori, così sarebbe andato in metropolitana. Martina era stata vaga sulla propria presenza. Lui temeva che la loro amicizia fosse compromessa per sempre, per colpa di una stupida erezione mattutina. Probabilmente avrebbe reagito allo stesso modo se ad abbracciarlo fosse stato... No, okay, non allo stesso modo. Ma in ogni caso, non sono dettagli a cui si possa attribuire una grande importanza. Ma come fai a spiegarlo a una donna? Soprattutto a una coinvolta nella faccenda.
Meglio lasciar perdere.
La pioggia ticchettava sull'ombrello con insistenza. Gli dispiacque scendere in metropolitana, ma camminando non sarebbe mai arrivato in tempo. Sul vagone, rimase in piedi, accanto a uno dei pali davanti alle porte. Gli sembrava che tutti lo guardassero. Forse aveva sbagliato combinazione di vestiti? O forse era la gigantesca Union Jack che aveva cucita sulla schiena ad attirare gli sguardi? In ogni caso, lì in Italia sembravano tutti ossessionati dai vestiti. Erano una sorta di lasciapassare. Erano un modo per dire a quale tribù appartenevi. Ma uno come lui, a cosa sarebbe mai potuto appartenere? L'ombrello rosa non aiutava poi a conquistargli la fiducia degli sconosciuti.
Merda. Anche questa volta Guido gli avrebbe dato una lavata di capo. O forse no. Non era a proposito della conferenza stampa di Barbato che aveva parlato di abbigliamento. Qui sarebbero stati ben altri i tasti dolenti. 
Affrontare Barbato dopo tanto tempo... Oh, magari non gli si sarebbe nemmeno presentata l'occasione. Le porte scivolarono ai lati permettendo a Gustav di scendere. In superficie, sotto la pioggia e il cielo grigio, il gigantesco ago colorato di Gae Aulenti sembrava trafiggere la città in un punto vitale. 
C'era gente nel foyer, reso ancora più caotico da ombrelli bagnati e impermeabili umidi.
Gustav acquistò a un banchetto improvvisato una copia del primo numero di Fucina, ed entrò in sala.
La chioma spettinata di Malatesta spiccava in terza fila. Si voltò a controllare chi arrivasse proprio mentre Gustav gli si avvicinava. Il suo sguardo lo intercettò e inorridì. Visibilmente.

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