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martedì 13 marzo 2012

Pecore nere - capitolo 8


C'era traffico sull'autostrada del Brennero. Difficile dire se fossero tutti amanti della letteratura o solo della montagna di inizio autunno. Ma quanti italiani sceglievano di andare in montagna in autunno? Sarebbe stato un festival affollato.
Martina nel posto del passeggero stava trafficando con i CD ammassati nel portaoggetti. Afferrò trionfante Our Earthly Pleasures dei Maxïmo Park, lo infilò nella fessura del lettore e iniziò a cantare il proprio stato di indeterminatezza insieme a loro.
Gustav sorrise guardandola di sottecchi, la nuvola di ricci rossi l'elemento centrale di quel momento. <<Tu sei nata nel periodo sbagliato. Gli anni Sessanta e Settanta ti si addicevano di più. Erano gli anni della ricerca di sé. Oggi se non sai chi sei, o non sei determinato a dimostrare quanto vali, non hai una chance al mondo.>> Gustav partiva spesso per la tangente con discorsi esistenziali sulla base di una cosa semplice quanto una canzone.
<<Sì, già, lo credo anch'io. Nella mia ultima vita ero Virginia Woolf, poi ho ritardato a reincarnarmi a causa del suicidio, e ora mi ritrovo in un'epoca che del mio essere passato sarebbe interessata esclusivamente all'aspetto omosessuale, che ho lasciato nell'altra vita. Mentre della mia profondità, del mio talento e del mio sguardo acuto sul mondo non frega niente a nessuno... comunque taci e ascolta>> concluse Martina alzando il volume.
Gustav continuò a guidare in silenzio. Forse avrebbe dovuto scrivere un romanzo su Martina. Da sola sarebbe bastata a riempirlo di personaggi, perché lei era sempre diversa, imprevedibile. In alcuni casi si adattava alla situazione come un camaleonte, diventando pressoché invisibile, parte della scenografia. In altri spiccava in un contrasto incontenibile, in un'aperta e dichiarata contrapposizione. 
Ora cantava, come una ragazzina disinibita che ha voglia di urlare in faccia al mondo la propria esistenza. "Ehi, sono qui. Se non mi vedi urlo un po' più forte." 
Gustav avrebbe voluto mostrare la propria rabbia con tutto quel pathos.

S. Candido era un paese accogliente. Le finestre delle case erano in fiore, come scudi a difesa dell'identità territoriale. Bellissimi scudi, però. 
Nella piazza era stato allestito un tendone per l'esposizione e la vendita di libri. Nella sala conferenze del Rathaus, il comune, e nella palestra della scuola elementare si tenevano le conferenze. 
Gustav e Martina parcheggiarono e si registrarono all'Hotel Post. Tutto era squisitamente tirolese e Gustav si sentiva a proprio agio, come succede a chi ritrova un pezzo della propria infanzia. 
Martina, invece, guardava le ghirlande e i centrotavola di fiori secchi, le sedie di legno intagliato e le fantasie tirolesi dei cuscini come una bambina in vacanza. 
Il signore teutonico alla reception afferrò la chiave dal casellario dietro le sue spalle e indicò a un ragazzo biondo e magro di accompagnarli alla stanza. 
La porta contrassegnata con il numero 22 si aprì su una camera spaziosa, colorata da una luce crepuscolare, con al centro un letto ampio, decisamente matrimoniale.
Gustav dovette trattenere la soddisfazione, mentre Martina finse con tutte le proprie risorse di non averci fatto caso e ringraziò il ragazzo con un sorriso tirato. 
<<Bene>> annunciò poi con lo stesso sorriso, dopo che il ragazzo se ne fu andato. <<Ti dispiace se io occupo il lato vicino alla finestra?>>
<<Affatto. Per me è uguale... Senti, se vuoi possiamo usare i cuscini del divano per creare un separé tra i due posti del letto.>>
<<Non essere ridicolo. Non sono una damina del '700.>> 
Gustav non rispose. Si limitò a sollevare un sopracciglio e a sistemare il proprio bagaglio, nascondendo un sorriso.
<<Allora, ci immergiamo nel festival?>> chiese poi.

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