Questo è l'incipit di un articolo che Dave Eggers ha scritto per il Washington Post e che ho ripreso dal sito di Internazionale nella traduzione di Diana Corsini. Un articolo sulle aspettative, sull'immobilità, sull'ispirazione, sui capanni. Un articolo sul potere della parola.
"Ho sempre evitato di parlare della “vita dello scrittore” da quando ho sentito pronunciare queste parole per la prima volta dieci anni fa. Ogni volta che le sento, mi tornano in mente le voci dei miei compagni di liceo e di università, dei miei zii e di mio cugino Mark, che avrebbe alzato gli occhi al cielo e forse mi avrebbe anche dato un pugno, piano, sul naso per aver tirato in ballo l’argomento. Quelle voci mi direbbero che è una frase pretenziosa: è pretenzioso riflettere sulla vita di chi scrive, e ancora più pretenzioso scriverne su un giornale.
La vita dello scrittore – almeno per quanto mi riguarda – non è così interessante. Ho appena rivisto Tutti gli uomini del presidente come faccio quasi ogni anno, e ogni volta mi meraviglio di quanto fossero interessanti le vite di Woodward e Bernstein al Washington Post, e di come il film riesca a raccontare l’accanimento e la casualità del lavoro del cronista, la straordinaria opportunità offerta da questo mestiere di andare in giro a fare qualsiasi domanda perché non si sa mai, potresti anche fare cadere un governo che se lo merita.
Quando guardo quel film penso anche a quanto è monotona la mia vita di scrittore. Per esempio, ora sto buttando giù questo articolo non nella caotica redazione di un giornale, ma in un capanno nel mio giardino. La finestra del capanno è coperta da un telo, perché altrimenti la mattina sarei abbagliato dal sole. Quindi ho davanti a me questo telo grigio, che è inchiodato alla parete in due punti e pende al centro in un grande sorriso grigio. "
Lo trovate qui in versione integrale.
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