Erano ore che aspettava. Quel maledetto telefono sembrava morto.
Alberta si accese un'altra sigaretta e inspirò come se volesse punire i propri polmoni.
Lo sguardo andava involontario verso l'apparecchio scuro sul mobile accanto all'ingresso. Dal divano guardava il cordless, misurando con accanito rancore la distanza che le avrebbe permesso di rispondere con il dovuto ritardo. Se solo quell'affare avesse suonato.
Si alzò e girò intorno alla poltrona, prima di lasciarsi sprofondare sulla sua seduta morbida.
La mano con la sigaretta dondolava al di là del bracciolo e gli occhi fissavano le foglie rosse di un albero nel sole ramato d'autunno.
Sarebbe stata una giornata splendida per essere felici. Se solo quel telefono avesse dato segni di vita.
Girò la testa di scatto verso l'apparecchio. Forse avrebbe potuto chiamare lei. No, non c'era storia. Avrebbe fatto meglio a uscire nell'ultimo tepore autunnale e lasciare che il telefono facesse la sua scena muta per una casa vuota.
Afferrò la giacca di pelle e chiuse il telefono in casa con quattro mandate decise.
Il viale era cosparso di foglie. Foglie morte, pensò Alberta, eppure sembravano così vive nel loro giallo accesso.
Poche macchine disturbavano il fruscio dei suoi passi.
La casa era deserta e silenziosa, senza le boccate decise alla sigaretta. Vuota ma piena di una luce limpida così rara in autunno.
E quasi in risposta a un raggio di sole che ne illuminava la laccatura scura, il telefono squillò.
Una, cinque volte.
Tuuu - tuuu.
Tutututu.
Una, cinque volte.
Tuuu - tuuu.
Tutututu.
Evidentemente in casa non c'era nessuno.
Il cellulare abbandonato sul divano si illuminò di verde, prima di prorompere in una marcia incalzante. La vibrazione agitava leggermente il cuscino. Ma non c'era nessuno a rispondere.
Andrea riagganciò sbuffando esasperato.
Non sopportava chiamare e non trovare risposta.
Innervosendosi, pigiò con più forza il piede destro sull'acceleratore. Gli alberi creavano una copertura irregolare che lasciava filtrare il sole solo a tratti. Accecandolo come una strobo.
Era ipnotizzata dal contrasto tra i suoi stivali neri e il giallo lucente delle foglie, che spinte dai suoi passi, si alzavano dal terreno, come percorse da nuova vita. Una vita illusoria.
Poi i passi si trasformarono in corsa, e il fruscio in un fermento di suono e colore. L'aria tiepida le baciava le guance.
Poi il tappeto di foglie si assottigliò fino a ridursi a qualche esemplare sparso qua e là, quando Alberta raggiunse il bordo del marciapiede per attraversare un grande incrocio.
La strada era praticamente deserta, così attraversò quasi senza guardare.
Non c'era in giro nessuno. Era uno spasso guidare lungo i viali alberati e deserti. Avvicinandosi a un incrocio, Andrea non ritenne necessario rallentare troppo la sua velocità per svoltare a destra.
Ma ecco che un'ombra scura si materializza nel centro della strada e lo costringe a inchiodare. Per fortuna che ha dei buoni freni.
Alberta alza il suo sguardo accusatorio sull'autista sconsiderato, mentre Andrea impreca contro il pedone avventato.
I loro sguardi si incrociano. Indugiano.
Alberta torna a guardare dritto davanti a sé, come se non lo avesse visto, mentre Andrea scende dalla vettura e chiama il suo nome in un grido di incredulità.
Intanto, un'altra macchina strombazza affinché si sgombri la strada.
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Sono sospeso nell'idecisione dei miei sensi.
RispondiEliminaIl piacere provato nella lettura, il fastidio provocato della lieve sensazione di mancanza...
Di una chiave di lettura. Una fine.
Una spiegazione.
Non so.