Una... due... tre... Wroam... quattro... Il semaforo diventa rosso. Corri corri corri.
Andrea aveva un'ossessione. Un'ossessione innocente che non nuoceva a nessuno.
Andrea aveva una vera passione per le strisce pedonali.
A ogni incrocio attraversava a testa bassa, osservando con l'attenzione di un amante e la perizia di uno scienziato ogni striscia della zebra stradale. Era in grado così di affermare che ogni zebra aveva le proprie caratteristiche, e nonostante la realizzazione delle strisce avvenga per mezzo di macchinari, anche il minimo errore umano contribuisce a conferire ad ogni passaggio pedonale la sua unicità.
Pensate che sulla parete di fronte al letto, in camera sua, Andrea aveva dipinto un affresco, dal titolo Zebra Crossing: un fondo grigio che riproduceva il colore dell'asfalto era attraversato da strisce bianche.
In poche parole era come se Andrea dormisse nel bel mezzo di un incrocio.
Ma non si trattava di un incrocio qualunque. Era l'incrocio ideale, nel senso platonico del termine. E Zebra Crossing era l'ideale a cui tutti i passaggi pedonali tendevano.
Ed era proprio l'osservazione di come tendessero alla perfezione che affascinava Andrea.
In alcuni passaggi pedonali il numero di strisce bianche era pari, in altri dispari, a seconda della larghezza della strada. Ma nessuno mai faceva strisce più strette affinché fossero più numerose.
Andrea era un chimico, non aveva nessuna velleità artistica, ma la sua ossessione faceva di lui un vero e proprio catalizzatore di arte.
Come primo mezzo espressivo, Andrea aveva utilizzato il disegno. Dapprima con una semplice matita, poi con un più professionale carboncino, aveva disegnato decine e decine di strisce bianche e nere, astraendole completamente dal contesto, finché era arrivato ad affrescarle sul muro.
Poi iniziò a plasmare la materia, a fare della scultura con riciclaggio del materiale più disparato.
La sua prima scultura furono degli stuzzicadenti dipinti di bianco incollati su un cartoncino grigio.
Lo rilassava guardare le strisce che creava lui, come se ci fosse una scintilla divina nel suo operato apparentemente inutile.
Si dedicò persino alla fotografia, per immortalare il mondo così come lo vedeva lui: a righe. Inquadrava il soggetto attraverso un'inferriata, uno steccato. Fotografava i campi arati o le impronte di pneumatici su una strada sterrata.
Le lame di luce che lo svegliavano la mattina attraverso le persiane erano per lui il preludio di una giornata a strisce, e quindi una buona giornata.
Per Andrea una giornata poteva essere definita a strisce quando si alternavano stati opposti, situazioni diverse. Ad esempio qualche ora in laboratorio, qualche ora in riunione, qualche ora al telefono e la sera un po' di sport.
Odiava quei giorni che passavano tutti uguali a se stessi. Gli sembrava di attraversare un'immensa strada trafficata ma senza passaggi pedonali a garantire la riuscita dell'impresa. Si rischiava di perdersi in mezzo a quella distesa di asfalto tutta uguale a se stessa.
Anche i pasti per lui erano a strisce. Non mangiava mai una cosa sola, e dato che due strisce non fanno un passaggio pedonale, si saziava minimo con tre portate. L'apoteosi era poi quando riusciva anche ad alternare cibi dal colore chiaro con cibi dal colore scuro.
Inutile dire che difficilmente Andrea riusciva ad avere una conversazione normale. O parlava di chimica con qualche collega o faceva scappare il proprio interlocutore dopo un minuto farneticando di righe, senza nemmeno riuscire a realizzare una conversazione a strisce, cioè con botta e risposta, degna di poter essere chiamata tale.
Quando ordinava un cono gelato al banco di una gelateria, sceglieva sempre panna e cioccolato e chiedeva espressamente una pallina di panna come primo strato, una pallina di cioccolato in mezzo e una pallina di panna a completare il tutto.
Il suo sport preferito era il nuoto, perché la divisione della vasca in corsie gli era congeniale al rilassamento e all'allenamento. Vi si recava, però, sempre una mezz'ora prima della chiusura, in modo da avere una decina di minuti di tempo, a vasca vuota, per percorrere la piscina per il largo, come se stesse attraversando un passaggio pedonale acquatico.
Quando Andrea andava al cinema, sceglieva sempre i giorni meno affollati, perché voleva avere la possibilità di cambiare fila ogni quarto d'ora circa, partendo dalla prima per arrivare in fondo alla sala, immaginandosi di colorare di bianco tutte le poltroncine delle file che sceglieva.
La sera, prima di coricarsi e spegnere la luce, contemplava per qualche minuto le strisce pedonali affrescate sulla parete e solo dopo era pronto ad abbandonarsi al mondo dei sogni.
I sogni erano un territorio che non offriva la minima sicurezza in fatto di passaggi pedonali. Poteva capitare di averne di interi senza nemmeno un passaggio che potesse rendere più sicuro l'attraversamento di un territorio tanto sconosciuto come il subconscio.
Addormentandosi con bene impressa nella retina l'immagine delle strisce affrescate, Andrea sperava di riuscire a portarla con sé nei sogni. Ma l'unica volta che gli era successo, non era stato capace di mettervi un piede sopra. Come quando vorresti correre, scappare da qualcosa, ma nonostante gli sforzi rimani fermo. A lui era capitato di rimanere inchiodato al bordo della strada, come se uno strano magnetismo gli impedisse di abbandonare il marciapiede.
Inutile dire quanto amasse la carta stampata. Cioè, non i giornali, perché le immagini erano per lui un elemento di disturbo. No! Lui amava i libri. Ne comprava di continuo, ma... aveva difficoltà a concludere libri che non avessero a che fare con la chimica, perché il sistema di righe lo distraeva, con tutte quelle gambette e maiuscole che davano un senso di irregolarità al rigore e all'ordine. L'imperfezione nella perfezione.
E naturalmente, ormai potrete ben capire quanto Andrea potesse essere a dir poco affascinato dagli spartiti musicali.
Suonava il pianoforte fin da quando era bambino, dapprima attirato da quell'alternarsi di tasti bianchi e neri, che chiedevano solo di essere pigiati. E che suoni rilasciavano! Poi, quando fu abbastanza grande da imparare la musica, all'incirca all'età di sei anni, fu letteralmente sedotto dal pentagramma. Cinque righe perfette, parallele e ordinate, su cui le note danzavano disegnando serpenti in movimento e portando fantasia nel rigore.
A trentatré anni l'ossessione di Andrea era arrivata al punto che, quando attraversava una strada, anziché affrettarsi per passare il più in fretta possibile da una sponda sicura all'altra, rallentava il passo, per trascorrere più tempo sulla zebra, per riuscire a sentirsi parte di quelle strisce, che contrariamente alle parole e alle note musicali, costituivano un elemento di ordine in un mondo regolato dal caos.
E fu proprio mentre indugiava, assaporando il momento, su un passaggio pedonale a un incrocio trafficato, nel bel mezzo della strada - potremmo dire immerso nelle strisce - che un'auto lo investì in pieno, scaraventando il suo corpo ormai senza vita su un'aiuola, qualche metro più avanti, dove strisce di fiori disegnavano una greca simmetrica.
Anche la morte, dopotutto, è a strisce, quindi non deve essere stato poi così terribile per Andrea, dopo il dolore dell'impatto.
Una striscia nera che ti cala sugli occhi, privandoti della vista, provocando un black-out al cervello. Una striscia bianca, verticale, sotto la quale si giace fino alla putrefazione, con su scritto, in un paio di righe, un riassunto approssimativo della vita.
Andrea Cavalli
1978 - 2011
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